Solomon Kane

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.:°Arin Lily Luna°:.
view post Posted on 28/7/2010, 18:51




Essendo che due cose amo nella vita: scrivere e cantare, mi cimento spesso a fare FF che di solito finiscono col nulla.

Questo sono decisa a portarla avanti.

Non c'entra con Rome, ma volevo farvela leggere. Per ora ci sono il prologo e il capitolo 1.

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Solomon Kane



Prologo





Lui entrò nel cortile del castello distruggendo il cancello, seguito da alcuni uomini. Erano pochi, confrontati ai soldati che, disperatamente, cercavano di proteggere la fortezza del loro padrone.
Ma Solomon Kane non si fermava davanti a un mucchio di soldati impauriti.
Li uccideva uno dopo l'altro, e nessuno riusciva anche solo a toccarlo.
“Forza, uomini!” urlò, senza fermare la sua furia omicida. “Dobbiamo arrivare alla sala del trono.”
Alcuni uomini del mio signore scapparono all'interno del castello, e io riuscii non so come a intrufolarmi tra loro, entrando.
Li vidi sbarrare il portone e appoggiarsi a esso, mentre io mi nascondevo dietro una delle colonne.
Ma gli uomini di Solomon non si possono fermare. E lui nemmeno.
Il portone esplose, e vidi i soldati volare in aria, mentre tutto prendeva fuoco. Io scappai.
La sala del trono era poco distante, e mi ci intrufolai, richiudendo la porta.
Mi ci appoggiai, finché Solomon non lo aprì.
All'inizio non mi vide. Mi ero nascosta dietro il portone che lui aveva lasciato aperto.
“Uomini, l'ho trovata!” urlò, mentre il portone si chiudeva dietro di lui. Solomon si voltò di scatto, andando ad ascoltare.
Dietro il portone, anche dal mezzo della stanza, dove mi ero fermata, si potevano sentire le urla dei suoi uomini che cadevano, preda delle bestie del mio signore.
Poi, il silenzio.
Si sentì un fruscio, e Solomon si voltò, puntando la spada.
Fu in quel momento che mi vide.
Mi squadrò, la spada sempre puntata su di me.
Non avevo paura.
Rimasi li, ferma, immobile, mentre lui si avvicinava, circospetto.
“Chi sei?” mi chiese.
“Una strega.” risposi, con naturalezza. Lui si fermò.
“Una bestia di Satana.” commentò. Io storsi il naso.
“No, non sono una bestia, e tanto meno di Satana. Sono solo una serva.” lui non sembrò convinto, ma abbassò la spada.
“Come ti chiami?” il suo tono sembrava meno circospetto, meno combattivo.
“Miriam.” risposi, guardandolo negli occhi. Lui non abbassò lo sguardo.
“Sei sola?” mi chiese, ormai del tutto convinto che fossi innocua. Io annuii.
“Però so combattere.” continuai. Lui mi guardò di sottecchi.
“Cosa sai fare?” mi chiese. Io abbassai lo sguardo verso il pavimento.
“Terra.” ordinai. Il pavimento si spaccò, e ne uscì un pezzo del terreno sottostante.
“Ti basta? Posso sbaragliare i tuoi nemici, con la mia magia.” dissi. Lui sembrava disgustato, ma non disse niente. Anche perché si accorse che, poco distante da dove fluttuava il blocco di terra giaceva il corpo del mio padrone. Solomon non fece una piega. Io, invece, guardai nella sua direzione e feci una smorfia.
“Quello era il mio padrone, il signore di queste terre. E quello il suo oro.” continuai, indicando un altro buco nel terreno, colmo d'oro.
“Puoi prenderlo, se vuoi. Non credo che gli servirà più.” Lui sorrise e si avvicinò all'oro, evitando accuratamente il blocco di terra che ancora fluttuava.
Prese una manciata di denari, prima di accorgersi che il sangue del mio padrone si era ghiacciato.
Tutto stava diventando più freddo, e il nostro respiro si condensava.
Si sentirono delle voci, lo chiamavano. Erano poco più che sussurri, ma si capiva che volevano lui.
“Che cos'è, una tua strana magia?” mi chiese, guardandosi in giro e alzandosi in piedi, la spada rivolta di nuovo verso di me.
Io lo guardai, rabbiosa.
“La mia magia non c'entra, Solomon Kane. E non stupirti del fatto che conosco il tuo nome. Nessuno qui era ignaro che saresti arrivato. La tua fama ti precede.”
Le voci andarono alzandosi di volume, e Solomon cominciò a guardarsi intorno.
Delle ombre cominciarono a uscire dalle pareti, attraversandoci e andando in un unico punto. Il trono.
Si formò un mostro, una creatura orribile, alta più di due metri, enorme. Il blocco di terra si schiantò sul pavimento.
“Solomon Kane, finalmente.” disse la creatura. Solomon spostò la spada da me all'essere.
“Chi sei?” urlò, mettendosi davanti a me. La creatura alzò una mano verso Solomon che, urlando, cadde a terra.
“Il messaggero di Satana, il suo boia. Io vengo a reclamare le anime che appartengono a Satana. E la tua gli appartiene. Un patto è stato sigillato, ed è il momento di onorarlo.”
“Quale patto?” chiese Solomon, rialzandosi a fatica. “Io non ho fatto nessun patto!”
“In ginocchio!” ordinò il boia, e Solomon cadde di nuovo a terra, urlando.
“La tua anima appartiene a Satana, e io sono venuto a prenderla.” Solomon alzò la testa.
“Tu non prenderai la mia anima, perché Dio mi protegge.” disse. Nella mano del boia comparve una spada, lunga e infuocata.
“Dio non ti protegge, Solomon Kane. Ed è giunto il momento che la tua anima vada dal Diavolo.”
Accadde troppo velocemente. Il boia cercò di tagliare la testa a Solomon, che tirò fuori la seconda spada e si protesse. Ne seguì un breve combattimento, mentre io osservavo, incapace di fare qualunque cosa. Sembrò che il boia riuscisse a battere Solomon, perché venne sbalzato contro il trono. Fu come se mi fossi risvegliata. Spostai di scatto lo sguardo sulla finestra, ordinando: “Acqua!” il mare entrò sfondando la finestra e colpì il boia, che si distrasse quel tanto che bastava a far rialzare Solomon. Lui si avvicinò a me correndo, mi prese la mano e si fiondò sulla finestra. Il boia si voltò.
“La tua anima appartiene a Satana, Solomon Kane!” lui lo guardò.
“La mia anima appartiene a me.” poi guardò me. “Se ti fidi di me, salta!”ordinò, prima di buttarsi. Io lo seguii a ruota.





Capitolo 1




Quando toccammo riva, lei sembrava svenuta. Aveva gli occhi chiusi, e i capelli rossi ondeggiavano attorno al suo viso. L'acqua sembrava non toccarla, non del tutto almeno. Sembrava volesse proteggerla.
Quando riuscii a recuperare le forze, mi alzai e la presi in braccio. Sembrava così innocente, così... angelica.
Era leggerissima, e portarla nel boschetto vicino non fu molto faticoso.
La posai a terra e preparai un fuoco vicino a lei, in modo che si scaldasse, coprendola con il mantello. Mentre attizzavo il fuoco, lei aprì gli occhi.
“Ti sei svegliata.” dissi, senza guardarla. Lei si mise seduta, massaggiandosi la testa.



Avevo freddo, ma la vicinanza col fuoco e il calore del mantello mi stavano scaldando. Un momento! Mantello? Solomon mi aveva coperto con il suo mantello...
“Stai meglio?” mi chiese, senza guardarmi. Io voltai lo sguardo su di lui, cercando i suoi occhi. Annuii.
“Si, sto meglio, grazie.” Lui continuò a fissare il fuoco, come se non riuscisse a guardarmi.
“Quanti anni hai?”
“Otto”
“Dove sono i tuoi genitori?”
“Mia madre è morta due anni fa e mio padre lo avrai ucciso tu o uno dei tuoi uomini.” risposi, con noncuranza.



Sentii una stretta allo stomaco. Avevo ucciso suo padre. Fantastico, aveva un motivo in più per odiarmi.
“Mi... Mi dispiace.” lei alzò le spalle, con noncuranza. Come se non le importasse.
“Non c'è problema. Non era un granché, come padre. Non mi ha mai dimostrato... l'amore che diceva di provare per me.” La cosa non cambiava. La morsa nello stomaco si fece più stretta.
“Non hai nessuno? Amici? Parenti?” lei scosse la testa. Continuava a guardarmi, a cercare il contatto visivo. Non volevo guardarla.
“Ti lascerò al primo villaggio che incontreremo allora. Qualcuno si occuperà di te.”



Sgranai gli occhi. Che cosa? Che discorso era quello?
“Vuoi... Abbandonarmi, Solomon?” chiesi, stralunata.
“Non voglio abbandonarti. Voglio proteggerti.”
“Non mi proteggerai lasciandomi al primo villaggio che incontri sulla tua strada.” Solomon sospirò, senza guardarmi. Io tenevo lo sguardo fisso su di lui, non avevo intenzione di spostarlo.
“Viaggiare con me potrebbe essere pericoloso.” più cercavo il contatto visivo e più lui mi sfuggiva. Perché? Perché non voleva guardarmi?
“So combattere, Solomon. Potrei aiutarti. Potrei combattere al tuo fianco.” Lui fece un mezzo sorriso.
“Non combatterò più.”
“E allora combatterò io. Ma non abbandonarmi, Solomon. Ti prego.”
Lui alzò la testa, senza guardarmi. Fissava un punto lontano, ma i suoi occhi erano vacui. Vedeva ma non vedeva.
“E va bene.” disse infine, tornando a guardare il fuoco. “Potrai venire con me. Prenderai il mio cognome, sarà più facile presentarci se siamo fratello e sorella.” Sorrisi. Miriam Kane. Suonava bene.
“Grazie, Solomon.”
“Di cosa? Di averti fatta orfana e di averti condannata a una vita di fuga?”
“No, di avermi salvato la vita.”
Lui sorrise ma non rispose.



***Sei Anni Dopo***



Bussarono alla porta. Io ero a torso nudo, mi stavo lavando, e Miriam era poco distante da me, con una salvietta bianca tra le mani. Lasciò la salvietta sul catino d'acqua e andò ad aprire, i capelli rossi che ondeggiavano attorno al suo viso.
Notando che la stavo osservando, mi sorrise, imbarazzata, uno di quei sorrisi che conoscevo bene. Poi, aprì la porta di legno.
Entrò un ragazzetto, doveva avere circa l'età di Miriam, portava un vassoio con il nostro pasto.
Io intanto mi rimisi la maglietta.
“E' vero... Che quelle preghiere... Servono a tenere lontano Satana?” chiese il ragazzetto, in evidente disagio, riferendosi ai marchi che avevo sul corpo.
“Attento ai nomi che pronunci qui dentro ragazzo.” rispose una voce austera e severa. Mi voltai. Il Padre Superiore, colui che aveva dato ospitalità a me e a Miriam quando ci eravamo rifugiati nel monastero. Era un uomo alto, dai capelli e gli occhi scuri, e come tutti i monaci, vestiva di un semplice saio.
“Solomon. Vorrei scambiare due parole con te e tua sorella.” Miriam spostò lo sguardo dal Padre a me, e la sua occhiata non faceva presagire nulla di buono.



Il Padre ci portò nel cortile del monastero. Faceva freddo, e c'era la neve per terra, ma non stava nevicando.
Io mi ero avvolta nel mantello, il mantello di Solomon, quello che mi aveva messo addosso il giorno che mi aveva salvata.
Il Padre Superiore aveva richiesto la mia presenza solo perché sapeva che non poteva parlare con Solomon se non c'ero anche io. Solomon non lo avrebbe permesso. Quindi, il Padre Superiore stringeva i denti. Quello che ero non era ben visto, dagli uomini di Dio.
“Questa notte si sono sentite ancora le tue urla, Solomon.” vidi mio fratello abbassare la testa per un momento, dispiaciuto.
L'incubo del boia non avrebbe mai avuto fine.
“Mi dispiace, io... Non vorrei creare disturbo...” rispose, tornando a guardare il Padre.
“No, nessun disturbo Solomon. Mi chiedevo solo se tu... Cerchi di comprendere cosa ti dicono i sogni, Solomon.” Sia io che mio fratello guardammo il Padre di sottecchi.
“Non comprendo, Padre.” Eravamo arrivati al muro di cinta del monastero, e ci appoggiammo tutti e tre su di esso, il Padre che guardava l'orizzonte e io e Solomon che guardavamo lui.
“Vedi, Solomon, spesso i sogni ci dicono delle cose. E io ho sognato spesso, nelle ultime notti. Dio mi ha parlato, Solomon.” Solomon lo ascoltava attento. Credo avesse il mio stesso sospetto.
“E... Che cosa vi ha detto Dio, Padre?” il prete si voltò verso di lui, guardò per un momento la neve a terra e poi tornò sugli occhi di Solomon.
“Mi ha parlato di te, Solomon, e mi ha detto che devi trovare la tua strada.” Solomon lo guardava, i suoi occhi che mostravano sgomento e smarrimento. Io non potevo crederci.
“Ci state cacciando, Padre?” chiesi, ben sapendo qual'era la risposta. Il Padre spostò i suoi occhi color della terra sui miei, che ardevano in quel momento.
“Vedi, Miriam, tu e tuo fratello siete stati degli ottimi ospiti, fino ad ora. Ma è giunto il momento che troviate la vostra strada. Dovete trovarla.” Solomon sembrò ritrovare la parola.
“Ma... Io non posso andarmene... Io non vi ho mai recato disturbo, Padre... né io né mia sorella...”
“Solo qui è al sicuro.” finii io per lui. Era sconvolto, non poteva credere che il Padre lo stesse cacciando. E io nemmeno.
“Solomon, noi non saremo sicuri ancora per molto, finché tu starai qui.” gli posò una mano sulla spalla, mi lanciò un'occhiata di scuse e se ne andò, lasciandoci soli in mezzo al cortiletto.



Due ore dopo il discorso del Padre, io e Miriam eravamo fuori dal monastero, e camminavamo nella neve senza una meta. Risparmiavamo il fiato e non parlavamo, se non quando era necessario. E finalmente scendemmo dalle montagne. Faceva meno freddo, e si apriva davanti a noi una pista, probabilmente tracciata da carri o dalle carrozze. Camminavamo in silenzio, quando una carrozza si fermò di fianco a noi. L'uomo che era seduto in cassetta aveva un viso simpatico ed era calvo.
“Forestieri, volete un passaggio?” Io mi voltai verso Miriam, che alzò le spalle, come dire 'decidi tu'.
“Grazie dell'invito ma dobbiamo rifiutare, preferiamo andare a piedi.” l'uomo squadrò me e Miriam, che stava sorridendo.
“Insisto, forestieri. Andare da soli di questi tempi è pericoloso.” sorrisi, cordiale.
“Ringrazio ancora per l'offerta, ma rifiutiamo, brav'uomo.” lui alzò le spalle, sconfitto.
“Allora, non vi importunerò oltre. Che il Signore sia con voi.”
“E con voi.” rispondemmo io e Miriam, in coro, mentre l'uomo si allontanava.
Mi voltai verso Miriam, che mi stava guardando con un'espressione strana, un misto tra il divertito e il curioso.
“Beh? Ti sei incantata?” la bocca di lei si arricciò, e gli occhi si strinsero.
“No, stavo solo ammirando il tuo modo di fare. Sei anni fa non eri così.”
“Sei anni fa non avevo ancora deciso cosa volevo fare della mia anima.” dissi, ridendo. Lei raccolse una spiga solitaria, cresciuta chissà come sul bordo della strada.
“Nemmeno adesso ne sei tanto sicuro...” rispose ridacchiando, sventolandomi la spiga davanti agli occhi. Io sbandierai la mano, come per scacciare una mosca, peccato che la “mosca” fosse la spiga di Miriam. Ridacchiando, la guardai.
“Che ne dici, ci fermiamo?” anche lei ridacchiò.



“Solo se cucino io.” lui mi guardò alzando un sopracciglio.
“Perché, che cos'ha la mia cucina che non va?”
“Tutto!” esclamai, correndo avanti, come facevamo spesso prima di arrivare al monastero. Avevo visto una radura e volevo arrivare prima.



Avevo acceso il fuoco, e lo stavo attizzando. Miriam si era allontanata per raccogliere delle erbe. Tornò in poco tempo, sbuffando.
“Sembra che sia passato il fuoco. E' tutto secco qui.” disse, lasciando cadere le poche erbe che aveva raccolto nel pentolino pieno d'acqua che avevo preparato sopra il fuoco.
“Sarà un magro pasto...” continuò, accovacciandosi per controllare l'acqua. Io sorrisi, osservandola mentre si dava da fare.
Ad un tratto, sentii uno scricchiolio. Qualcuno era tra gli alberi, e ci stava raggiungendo.
“Miriam, vieni vicino a me.” dissi, alzandomi e portando un braccio verso di lei. Miriam si avvicinò a me.



“E' più facile che sia io a difendere te...” sussurrai, mettendomi dietro di lui, i sensi in allerta.
“Non usare i tuoi poteri, Miriam...” sussurrò, poco prima che arrivassero.
Sbucarono dalla roccia dietro di noi, prendendoci di sorpresa e circondandoci.
“Cosa abbiamo qui?” disse uno degli uomini, probabilmente il capo. Solomon indietreggiò, e io con lui.



“Prendete... tutto quello che volete. Non ho molto, ma è vostro.” Miriam stringeva convulsamente la mia mano, come per farsi coraggio.
Uno degli uomini si avvicinò a Miriam, mettendogli una mano sul viso, ma lei gliela morse. L'uomo indietreggiò, imprecando. Tentò di prenderla per i capelli, la reazione di Miriam non gli era piaciuta, ma io mi misi in mezzo.
“No! Non fatele del male...”
“Togliti di mezzo, la bimba merita una lezione!” era intenzionato a prendere Miriam e non si sarebbe fermato molto facilmente.
“Solomon, fammi usare i miei poteri!” bisbigliò Miriam, che si era messa di schiena per poter guardare i banditi.
“No, Miriam. Sarebbe peggio.” risposi. Miriam aveva ragione, era la nostra unica possibilità, ma sarebbe stata più in pericolo di prima, ed era l'ultima cosa che volevo.



Uno degli uomini si avvicinò a me, prendendomi per un braccio. Cominciai a divincolarmi.
“Lasciami, schifoso, lasciami!” urlai, cercando di staccare la sua mano dal mio braccio. Lui avvicinò il suo corpo al mio, accarezzandomi la guancia,
“Che tenero bocconcino...” ma non gli feci finire la frase. Gli sputai in faccia, e lui, dopo un attimo di sorpresa, mi tirò uno schiaffo. Dietro di me, nello stesso istante sentii un tonfo. Mi voltai un attimo, giusto il tempo per vedere Solomon in ginocchio.



Mi avevano colpito, e stavano per farlo di nuovo, ne ero sicuro.
Sentii un'imprecazione. Miriam aveva di nuovo morso un bandito.
“Metteteli a tacere. Tutti e due.” disse il capo.
“No! Non fatele del male!” ma l'ultima cosa che sentii era la voce di Miriam che urlava il mio nome. Poi, più nulla.

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